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Materie Plastiche
ed Elastomeri
Rivista tecnica

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1935-1995

Alle origini dello stampaggio

Dalle prime presse manuali degli anni '40 alle colossali macchine del Dopoguerra: breve storia delle macchine a compressione, transfer e ad iniezione e dei loro inventori, veri e propri pionieri dell'industria italiana delle materie plastiche

di Giovanni Baucia

Questa storia per immagini affronta la nascita dell'industria italiana costruttrice di macchine per la lavorazione delle materie plastiche e gomma prima della Seconda guerra mondiale e nel successivo periodo della ricostruzione sociale ed industriale. E' stato preso in esame un primo periodo dalle origini sino alla fine degli anni '50, facendo il punto della situazione alla metà di quel decennio quando venne stampata la prima edizione dell'"Enciclopedia-Annuario delle Materie Plastiche", a cura della nostra rivista.

Il 1955 è l'anno in cui le grandi società italiane - Montecatini, ANIC e la Pirelli, solo per citare le principali - diedero il meglio di sé stesse; in particolare la Montecatini tenne a battesimo il "Moplen", il polipropilene isotattico sviluppato dal Premio Nobel Natta (1963), in collaborazione con il Politecnico di Milano. Proprio in quegli anni una fiorente industria italiana costruttrice di macchine aiutò diverse piccole unità produttive di stampaggio ad uscire dal cosidetto "sottoscala" e ad assumere una vera e propria fisionomia industriale.
Successivamente, con un salto di circa 10 anni, è stata illustrata la situazione nei primi anni '70, quando le macchine avevano già raggiunto la completa maturità: gli ulteriori sviluppi somo stati i comandi computerizzati, le apparecchiature periferiche come i robot e, più in generale, l'automazione sino alle recenti isole automatiche di produzione. Per questo periodo si è fatto tesoro di un indagine promossa nel 1971 da "Materie Plastiche ed Elastomeri". Già allora l'industria italiana costruttrice di macchine per le materie plastiche occupava il secondo posto in Europa, dopo la Germania, ed il quarto nel Mondo, alle spalle di Stati Uniti, Germania e Giappone. Il giro d'affari delle 178 aziende esistenti (21.000 addetti) risultava di circa 100 miliardi, con una quota di esportazione del 41% (dati Assocomaplast). Nei capitoli seguenti verranno presi in considerazione i costruttori italiani di macchine per compressione/transfer e per lo stampaggio ad iniezione; nel prossimo numero verranno invece illustrati gli esordi e le attività dei costruttori di impianti di estrusione, soffiaggio corpi cavi, calandre ed altre apparecchiature.

Questo lavoro risulta in qualche dettaglio incompiuto, con involontarie omissioni o scelte parziali, a causa della scomparsa di diversi protagonisti e dell'inspiegabile rifiuto di alcuni successori a voler fornire notizie; ringraziamo invece tutti coloro che ci hanno fornito dati e notizie e che ci hanno messo a disposizione i loro archivi. Ci sono stati d'aiuto, oltre alle due opere sopra citate, anche la terza edizione dell'Enciclopedia delle materie plastiche (1964) ed i numeri speciali della nostra rivista pubblicati in occasione delle Fiere di Milano del 1951 e 1952.
Questa serie di articoli vuol essere un riconoscimento al coraggio ed al lavoro svolto da uomini divenuti quasi leggendari, che in tempi difficili capirono l'enorme potenzialità delle materie plastiche e posero le basi di un'industria oggi tra le prime nel mondo.

 

Compressione e transfer

I pionieri. Negli anni '30 la maggior parte dei manufatti di materiale plastico era ottenuta mediante lavorazione meccanica di blocchi, lastre, foglie (colate o pressate) e tubi prodotti per estrusione con pistone. La prima vera tecnologia di formatura è stata la lavorazione a compressione per lo stampaggio di masse, dapprima fenoliche poi ureiche e melamminiche. Lo stampaggio di queste resine termoindurenti nacque dall'intuizione di accoppiare, in una sola macchina, l'elemento generatore di pressione con un dispositivo per lo sviluppo di un'energia termica regolata. Ciò fu possibile inserendo delle resistenze elettriche in due piastre portastampi, i cosiddetti piani di riscaldamento. Nel caso di stampi più grandi, vennero inserite delle resistenze corazzate direttamente nello stampo, tecnicamente valido, che nel frattempo si era evoluto per lo stampaggio della gomma.
Riguardo allo sviluppo della pressione, le prime presse furono a sviluppo meccanico manuale, mediante una specie di bilancere che avanzava a colpi man mano che procedeva la fluidificazione della polvere termoindurente, oppure per mezzo di una ginocchiera. Successivamente, quando fu impossibile generare manualmente notevoli sforzi, vennero introdotte le presse idrauliche, derivate dal settore della lavorazione dei metalli. Il primo fluido utilizzato fu l'acqua, con l'aggiunta di olio in emulsione per preservare gli organi della macchina dalla corrosione; l'equipaggiamento comprendeva un generatore centrale di alta pressione, pompe, accumulatori ed una rete di tubazioni per servire le varie presse. Più tardi, il liquido acqua + additivo fu sostituito dall'olio lubrificante, che offriva una maggiore sicurezza contro la corrosione.
Queste linee di sviluppo si vedono chiaramente esaminando la produzione dei primi costruttori italiani di presse a compressione; le prime macchine furono sviluppate con asse verticale perchè in questo modo risultava più agevole il caricamento della polvere da stampaggio entro le impronte degli stampi.
La società Terenzio era presente sul mercato negli anni dal 1935 al 1941 con la ragione sociale Terenzio S.A. ed una duplice attività: costruzione di presse meccaniche a funzionamento manuale e stampaggio di articoli in resine termoindurenti, tra cui le assai diffuse calotte per spinterogeno di colore rosso scuro ed i copricandele per auto. La prima pressa era a vite; dato che con la sola vite non era possibile ottenere manualmente una pressione superiore a 3-4 tonnellate, fu inserita, alla sommità, una ruota pesante fusa munita di maniglia, che permise di quadruplicare questo valore. La ruota poteva compiere circa mezzo giro senza trascinare la vite, dopodiché la ruota si agganciava ad un nasello solidale con la vite stessa. In questo modo era possibile imprimere alla ruota una certa velocità, quindi forza, che veniva scaricata al momento dell'aggancio fornendo la pressione necessaria. In un'altra pressa , costruita negli anni successivi (1936-1941), la vite era combinata con un movimento a ginocchiera che assicurava una pressione di circa 25-30 tonnellate. Non si creda che i pezzi ottenuti con queste macchine fossero difettosi: nei meccanismi a ginocchiera la posizione cresce molto verso la fine della corsa, una caratteristica vantaggiosa per le polveri termoindurenti, che alle basse pressioni iniziali hanno tutto il tempo per scaldarsi e plastificarsi. La forte pressione finale, inoltre, assicurava la perfetta chiusura dello stampo e quindi l'esatta esecuzione del pezzo.
Nel 1941 la società si trasformò in Terenzio Srl ed iniziò la costruzione di presse oleodinamiche, affiancandola alla produzione di macchine per lo stampaggio. La linea di presse a colonne fu chiamata "Impero" : queste macchine iniziarono a stampare manufatti in resina fenolica quali manici per ferri da stiro, maniglie per il pentolame, spine ecc. Vennero anche prodotti apparecchi telefonici, allora rigorosamente di colore nero. La prima sede di via Ponte Seveso, a Milano, fu distrutta nel corso di un bombardamento alleato nel 1941, e la Terenzio trovò nuovi locali in periferia. In questi anni la società si specializzò sempre più nella costruzione di presse verticali, realizzando in seguito (anni '50) impianti di rilevante importanza per lo stampaggio di carcasse per televisori , per la plastificazione della carta e per la produzione di laminati plastici. Dopo il 1960 vennero costruite presse con forza di chiusura pari a 3.000 t.
Alla Fiera di Milano del 1951, la prima ad ospitare in un apposito padiglione le macchine per le materie plastiche, la Terenzio presentò una serie di presse idrauliche autonome ad olio circolante, di diversa potenza, "dotate di una piccola motopompa che rende di una rapidità sorprendente a chiusura la pressione senza accumulatore, anche per le presse di notevoli dimensioni" (Materie Plastiche, 1951).
Un'altra industria pioniera in questo settore è stata la Triulzi, sorta nel 1939 come Officine A. Triulzi, con stabilimento a Milano in via Giovanni da Procida. In quella sede venivano costruite le macchine idrauliche per la pressofusione di metalli (leghe di zinco, allumio e rame), forni fusori a resistenza, ad induzione ed a nafta, nonché armi. A queste attività fu presto affiancata la costruzione di presse idrauliche per lo stampaggio di materie plastiche e gomma, con forza di chiusura da 12 a 250 t. Le presse erano a quattro colonne con due cilindri di ritorno; tra le altre caratteristiche dei sette modelli standard ricordiamo: dimensioni piani da 300x300 mm a 500x550 mm, luce massima tra i piani da 350 a 550 mm, comando con distributore idraulico con unica leva.
Allo scopo di accelerare la produzione, e ridurre quindi il tempo di cottura (ancora lungo per oggetti di elevato spessore), la Triulzi progettò e fece costruire dalla Magneti Marelli un apparecchio ad alta frequenza per il pre-riscaldamento delle polveri . La dosatura delle polveri da stampaggio era eseguita all'inizio con dei misurini metallici; i pezzi dovevana perciò essere sottoposti a sbavatura. Presto la società costruì pastagliatrici meccaniche per prodotti granulari ed agglomerati. La Triulzi realizzò anche presse transfer, impropriamente denominate allora ad iniezione; ecco la descrizione tratta dal relativo catalogo: "In queste macchine il materiale o la pastiglia vengono prefusi in una camera munita di pistone situata sotto il piano fisso della pressa". Il materiale plastificato era spinto dal pistone nella cavità dello stampo attraverso i canali di alimentazione; nello stampo caldo e sotto pressione continuava il processo di solidificazione. La materozza era poi rimacinata ed aggiunta alla polvere vergine.
Un'altra azienda che può essere annoverata tra i pionieri è la Cesare Galdabini, fondata a Gallarate nel 1890 come piccola officina artigiana per macchine tessili. Nel corso dei suoi cento anni di vita questa società ha svilppato diverse attività: dal 20%7 al 1914 nel campo idraulico, dal '15 al '18 nel settore bellico; nel 1929 la Galdabini costruì la prima macchina per la prova del cemento e nel 1934 una macchina universale da 50 t per i test di materiali metallici, commissionata dall'Arsenale di La Spezia. Le prime presse per lo stampaggio di termoindurenti sono invece datate 1936.
L'attività nel settore delle macchine per compressione (presse anche di tipo transfer, pompe, compressori ed impianti idropneumatici) si ampliò nel 1950 con l'introduzione di una linea di presse ad iniezione per termoplastici; questo programma fu abbandonato nel 1956, senza un'evidente ragione, dato che queste macchine stavano raccogliendo lusinghieri successi. La Galdabini, che opera oggi nel moderno stabilimento di Cardano al Campo (VA), non è uscita completamente dal settore delle materie plastiche: attualmente costruisce strumenti per la prova dei materiali, tra cui diversi per i materiali plastici, film, elastomeri e cavi.
Un'altra società protagonista fu fondata nel 1933 con la denominazione Gotti-Bonetti-Francavelli, come officina meccanica in via Delle Abbadesse a Milano. Questa azienda collaborò durante la guerra con la Ambrogio Triulzi. Nel 1946, con la ragione sociale G.B.F., costruì una pressa per metalli e nel '47, con l'entrata in azienda di Carlo Odlas, furono realizzate le pompe oleodinamiche. Nel 1949, la G.B.F. incominciò a vendere le prime presse per termoindurenti Potvel 35, con forza di chiusura stampi regolabile da 5.000 a 35.000 kg, dimensione dei piani di riscaldamento di 320x280 mm, generatore di pressione e una motopompa da 2,5 HP di potenza. Altre tappe dello sviluppo della G.B.F furono: nel 1950-51 la costruzione delle prime presse ad iniezione (ved. stampaggio ad iniezione) e nel 1953 la costruzione dello stabilimento di Bresso (MI). Alla Fiera di Milano del 1951, la G.B.F presentò al pubblico una serie completa di presse con forza di chiusura di 35, 60, 100, 200, 400 e 600 tonnellate, con comando semiautomatico, adatte sia allo stampaggio delle resine termoindurenti, alla vulcanizzazione della gomma e alla placcatura. Le macchine potevano essere fornite di piani multipli e riscaldate elettricamente o a vapore.
Tra le società attive nel 1935 è da citare la Chiesa Camillo e Figlio, che diventerà in seguito Chiesa Costruzioni Meccaniche di Milano, ora cessata. Abbiamo intervistato l'allora rappresentante per l'Italia, Bruno Garlati, che pubblica ancora oggi il noto bollettino con offerta di macchinari (il primo numero fu stampato nel 1954). La Chiesa alla metà degli anni '50 costruiva presse idrauliche per termoindurenti da 60 (a ciclo continuo con comandi automatici), 100 e 500 tonnellate; inoltre, presse idrauliche a piani multipli per laminati plastici da 400 t ed altre presse per conglomerati di gomma, oltre a presse idrauliche ad iniezione Alla Fiera di Milano del 1952, Chiesa presentò presso lo stand della Montecatini una pressa idraulica a compressione per lo stampaggio di resina poliestere; la pressa, con forza di chiusura pari a 25 t, era azionata da una pompa ad olio incorporata, per un funzionamento autonomo, mentre il pistone era a doppio effetto.

Gli anni della ricostruzione. Nel 1946 nasce la Sandretto, per iniziativa dei fratelli Modesto e Dino Sandretto, con sede a Torino, in Via Santa Giulia. In due locali da 50 metri quadrati nasce quella che sarà poi, negli anni successivi, una delle più quotate aziende del settore. All'inizio la Sandretto operava per conto terzi, ma già alla fine degli anni '50 era in grado di fornire pompe ad acqua, distributori e presse per termoindurenti. Per esempio, vennero costruite presse verticali semiautomatiche a quattro colonne con la piastra premente disposta in alto. Tanto la compressione quanto l'apertura ed il movimento dell'estrattore avvenivano sotto l'azione della pressione nella tubazione principale, grazie ad un distributore a tre vie comandato da una leva manuale. Nel 1951 l'azienda si trasferì in Via Pietro Cossa (3.500 m2) e consolidò la sua posizione nel settore delle macchine idrauliche. Negli anni 1950-1960 la Sandretto completò la serie delle presse verticali, autonome, idrauliche od oleodinamiche per lo stampaggio di resine termoindurenti. La forza di chiusura era compresa tra 30 e 1.000 t e le dimensioni dei piani portastampi da 350x350 mm a 1.200x1.400 mm . Queste macchine furono prodotte in due tipi: modelli A-M per lo stampaggio diretto a compressione e modelli A-T per lo stampaggio a transfer. Già allora l'apparecchiatura di comando, con 4 temporizzatori, permetteva 7 diversi cicli completamente automatici, con vari sistemi di degasaggio.
In quel periodo vennero costruiti anche potenti esemplari di presse a piani multipli, come quello a 13 piani riscaldanti e 12 piani di lavoro, con forza di chiusura di 3.800 t, destinato ad un'industria produttrice di laminati plastici. Alla fine degli anni '50 venne affiancata la costruzione di presse per iniezione, che acquisirono una notevole importanza, tanto che nel 1975 la Sandretto sospese la produzione delle macchine a compressione.
I produttori italiani di presse a compressione non hanno costruito solo macchine per impieghi generali, ma - secondo una vocazione che diventerà un notevole punto di forza rispetto alla concorrenza straniera - anche macchine speciali adatte per risolvere problemi specifici. Tra queste ricordiamo:

  • le presse per bottonifici, con stampi fino a 100 impronte ed espulsione con getto ad aria, costruite dalla Pozzi di Piacenza (impianti completi per la produzione di bottoni forati ed a macchia passante);
  • le presse a doppio effetto angolare, con due pistoni perpendicolari tra loro, costruite dalla Pagnoni-Benetti & C. di Milano;
  • la pressa automatica con 12 stampi in rotazione continua, costruita dalla Lombarda Macchine Polvara di Milano, in grado di lavorare contemporaneamente con stampi diversi, alimentati indipendentemente con diversi tipi di resina;
  • gigantesche presse a piani multipli per la produzione di lastre e pannelli di materiale plastico, oppure stratificato di tessuto o carta, impregnati di resina.

La situazione all'inizio degli anni '70. Facciamo ora un salto di 35 anni dalla data di fondazione di Materie plastiche ed Elastomeri, ed arriviamo alla vigilia del terzo Plast, che si tenne a Milano nel 1972. In occasione di questa manifestazione, la nostra rivista pubblicò un'indagine sul settore.
Gli anni '60 furono caratterizzati da una forte crescita dei termoplastici, specialmente dei tecnopolimeri. Le termoplastiche vennero in quegli anni un po' trascurate, ma nel 1969-71 si assistette ad un rinnovato interesse per le polveri da stampaggio fenoliche, ureiche e melammidiche, con la produzione di interessanti manufatti nei settori dei casalinghi, sanitari ed elettrotecnico. Il merito spetta in parte anche alla messa sul mercato di presse attrezzate con particolari cilindri di plastificazione, viti, ugelli ed armadi di regolazione per l'iniezione delle termoindurenti. Di conseguenza anche le tradizionali presse a compressione subirono radicali innovazioni e, in particolare, furono perfezionati i dispositivi di alimentazione delle polveri (sistemi di dosaggio) e per l'estrazione dei pezzi. Le presse in commercio nel 1979 disponevano già di 9, 11, 12, 16 o più cicli programmabili preselezionabili; notevolmente migliorato risultava anche il processo di degasaggio. Una particolare predilezione dei costruttori di presse a compressione riguardava le macchine per la produzione di laminati plastici (80 milioni di metri quadrati nel 1969). Otto società costruivano impianti per laminati plastici e per la nobilitazione dei pannelli truciolari; queste linee erano caratterizzate da un'elevata automazione sia per la compressione, sia per tutte le operazioni ausiliarie.
Se facciamo un confronto tra il 1955 ed il 1975, si rileva che cinque società hanno nel frattempo cessato l'attività di produzione di macchine per la compressione ed il transfer: Cavenaghi e Ridolfi, Galdabini Cesare, Gamondi, Lombarda Macchine Polvara e Triulzi. Sono in piena attività Chiesa Costruzioni Meccaniche (nel nuovo stabilimento di Pogliano Milanese), Comerio Ercole, G.B.F. (stabilimento di Bresso), Pagnoni Fratelli, Pagnoni Benetti & C., Flli Sandretto e Terenzio. Nel frattempo erano sorte nuove aziende: la Fabes (ora Fabesint) di Piacenza, fondata nel 1963 e inizialmente specializzata nella costruzione di presse per bottoni, la Gatti, anch'essa di Piacenza, la Mapelli di Solaro (MI) - che costruiva presse per gomme ed elastomeri - la Mentaschi di Milano e la Salvaneschi di Pavia con presse per laminati plastici. C'era anche la T.C.S. di Novate Milanese, società fondata dalla Triulzi e successivamente ceduta (ora fa parte del Gruppo Cannon), che nel 1970 costruiva 10 modelli di presse a compressione e transfer, serie Moldmatic, e quattro modelli di presse serie Polifiber per manufatti in vetroresina.
E' infine da citare la BM di Monza, costituita nel 1963 da Giovanni Biraghi, che all'inizio degli anni '70 costruiva 9 modelli di presse a compressione serie Duroplast , con forza di chiusura fino a 1.000 t e 12 programmi automatici per il pistone superiore più quattro per l'estrazione. La BM produceva anche cinque modelli di presse completamente automatiche (fino a 230 t), presse per impieghi particolari - per esempio stampaggio di resina poliestere liquida rinforzata con fibre di vetro (bassa pressione) e di preimpreganti (alta pressione) - oltre a diversi modelli di presse per elastomeri.

 

Stampaggio per iniezione

Dalle origini alla fine degli anni '50. La costruzione delle presse per iniezione iniziò nel 1923 in Germania con modelli manuali. Nel 1926 venne introdotta, sempre in Germania, una macchina pneumatica di limitata capacità, circa 30 grammi, in cui solo il pistone iniettore era comandato da un cilindro ad aria compressa, mentre la chiusra della stampo era eseguita ancora a mano. Successivamente i costruttori si orientarono verso macchine nelle quali tanto l'iniezione quanto la chiusura dello stampo erano azionate da cilindri idraulici. Esse dovevano essere collegate ad un gruppo compressore idraulico o idropneumatico, che forniva l'acqua ad una pressione di esercizio di circa 150-200 atmosfere.
In Italia la prima pressa per iniezione porta la data del 1940: essa venne costruita per iniziativa di Marco Giani, che previde l'importanza futura delle materie plastiche. Egli potè fornire agli stampatori una piccola pressa manuale autonoma, il cui funzionamento venne così descritto: "Azionando la leva a mano, le due metà dello stampo si chiudono ed il cilindro d'iniezione si comprime contro l'orifizio dello stampo. Verso la fine della corsa delle leve, il pistone viene spinto nel cilindro riscaldato ed inietta la massa plastica nello stampo, il quale è bloccato dalla pressione stessa dello stantuffo. Muovendo la leva in senso contrario, lo stampo si apre e verso la fine della corsa un estrattore spinge il pezzo fuori dallo stampo" (dal manuale:"Lo stampaggio delle materie plastiche, 1943).
Nel 1943 Marco Giani fondava la CO.GE.MA. in via Bazzini, a Milano, dove venne costruita la pressa C010. Dal prospetto generale si rileva che la pressa veniva realizzata in due versioni: a monocomando (chiusura stampo massima di 3 t ed iniezione simultanea) e bicomando (pressione massima di 16 t). Già allora si pensava che il futuro di queste presse sarebbe stato l'automazione del processo: nel prospetto infatti si legge: "la C010 è stata dotata di: 1) apparecchiature elettriche per la perfetta termoregolazione; 2) chiusura automatica dell'ugello d'iniezione, di regolazione del dosatore e di tutti quegli accorgimenti che mettono in condizione l'immediato rendimento dello stampaggio ad iniezione, anche se alla macchina è preposto personale inesperto". All'inizio del 1946, dopo la messa sul mercato di diversi modelli, venne approntata la costruzione in serie. Un anno dopo, nello stesso luogo dove sorgeva la Co.GE.MA venne fondata, sempre da Giani, la Negri Bossi & C., che divenne in poco tempo la prima casa costruttrice europea di presse e per qualche modello di macchine tra le prime nel mondo. La prima pressa a funzionamento manuale, costruita sempre a Milano, fu la NB28, che ancora oggi è visibile all'ingresso dello stabilimento Negri Bossi di Cologno Monzese. Queste le caratteristiche tecniche: capacita massima d'iniezione (polistirene) pari a 28 grammi; capacità di plastificazione oraria di 3,8 kg, una stampata e mezza al minuto; massima dimensione degli stampi pari a 205x210 mm, con spessore minimo di 70 mm; massima apertura delle piastre portastampi pari a 150 mm; forza di chiusura di 20 tonnellate. La macchina pesava 400 kg ed aveva un ingombro di 160x50x125 mm.
Ecco quanto scritto sulla rivista Materie Plastiche nel 1951: "La Negri Bossi ha impostato la produzione su tipi di presse autonome tra i 25 ed i 250 grammi per iniezione, portando le macchine ad un alto livello di semplicità di azionamento, sicurezza e velocità dei cicli operativi, limitata manutenzione e ridotto costo di esercizio. Abbandonato completamente il criterio di macchine non autonome, obbligate ad essere collegate con gruppi idraulici separati, tutte le presse sono autonome con azionamento oleodinamico e nuove centraline a pressione variabili incorporate nelle presse stesse". E nel 1952 si scriveva: "Quest'anno tutte le presse di questa ditta sono dotate dell'automatismo mediante centralina oleodinamica incorporata, con un circuito di utilizzazione della bassa pressione che consente il vantaggio di un ridotto consumo di energia elettrica".
Questo è l'inizio dell'attività di una società le cui macchine erano costruite in uno spazio così angusto, dove soltanto l'esperienza di Pietro Negri permetteva la produzione in grandi serie delle presse progettate con ritmo incalzante da Walter Bossi. La Negri Bossi & C. ha compiuto un lavoro pionieristico non solo nel campo delle presse per iniezione, ma anche nello sviluppo di macchine per altre tecnologie - come estrusori, soffiatrici di corpi cavi, macchine per dorare e saldatrici - costruendone i prototipi; in seguito altre società ne continuarono la produzione. Nel 1959 Marco Giani, per affari all'estero, cedette la Negri Bossi, ma già nel 1962 fondò un'altra società costruttrice di presse ad iniezione: la Metalmeccanica Plast di Bulgarograsso, che in pochi anni acquisì una posizione di rilievo tra i costruttori europei (oggi questa società fa parte del Gruppo Sandretto). Un uomo solo fondo perciò due società costruttrici di macchine di così elevato calibro.
Verso la metà degli anni '50 i costruttori di presse per iniezione, specialmente di capacità più elevata, dedicarono i loro sforzi allo sviluppo di sistemi che consentissero di ottenere una maggiore omogeneità di plastificazione ed una migliore uniformità di distribuzione della temperatura all'interno del materiale. Dapprima venne accresciuta la superficie di contatto con il materiale, mediante corpi alettati, detti "torpedo" o "siluri", posti all'interno del cilindro verso la parte terminale. Successivamente furono messi in atto sistemi con pre-plastificazione del materiale, ottenuta utilizzando un estrusore a vite separato, disposto orizzontalmente o inclinato, che immetteva il materiale nel ciclo con un certo grado di plasticità; il pistone poteva completare l'operazione più facilmente, più velocemente e con maggiore accuratezza. Il vero salto di qualità fu compiuto con l'introduzione della vite di pre-plastificazione, che avvenne nel 1958 per merito di un italiano, l'ingegner Odlas della GBF, in concomitanza con la società tedesca Eckert & Ziegler. Questa società costruì le presse serie Plastiniector con pre-plastificatore a vite punzonante: la vite era utilizzata oltre che per l'alimentazione e la plastificazione del materiale, anche come pistone d'iniezione.
La Triulzi iniziò a costruire presse ad iniezione alla fine degli anni '40. Alla Fiera di Milano del 1951 presentò la prima serie di presse idrauliche di media grammatura: quattro modelli con capacità d'iniezione rispettavimente di 35, 100, 170 e 330 grammi, e forza di chiusura di 43, 72, 125 e 250 t. Ecco alcune caratteristiche: largo impiego della cromatura a spessore mediante impianti propri - per esempio sul pistone e sulle parti soggette a frizione - camera di riscaldamento in un solo pezzo di acciaio con resistenze incassate e corpo cromato, camera di scorrimento nitrurata, siluro cromato e smontabile, apparecchiatura ausiliaria per il funzionamento in automatico. Queste macchine, che funzionavano con pompe ed accumulatore idropneumatico, potevano già essere adottate per l'esercizio con pompa ad olio a portata variabile. A Milano, Triulzi espose anche la prima macchina combinata per l'estrusione- iniezione di grossi manufatti di materiale plastico (900 grammi). Alla successiva fiera, nel 1952, si poteva già intravedere la sua vocazione alla futura costruzione di gigantesche presse ad iniezione. Ricordiamo che la pressa esposta - da 700 g, con forza di chiusura a pistone centrale diretto di 430 t - suscitò tra i tecnici delle industrie utilizzatrici una profonda ammirazione per la mole, le dimensioni (6.500x1.680x950 mm) ed il peso della sola macchina (13 t), che si distaccava dalla forma usuale dei modelli già costruiti per le grammature inferiori. Nel 1955, a Novate Milanese fu inaugurato il nuovo stabilimento della Triulzi, che fu tra le prime aziende ad esportare macchine in Russia.
Si è visto nel capitolo dedicato alle presse a compressione che la Sandretto iniziò la costruzione di macchine ad iniezione verso la fine degli anni '40: è interessante rilevare che i primi esemplari a comando manuale, forniti alla società Wilson (Universal) di Settimo Milanese, stampavano due cappucci di PS per biro al minuto; per fare un confronto, ricordiamo che le presse moderne nello stesso tempo stampano circa 400 pezzi. La Sandretto in seguito costruì presse idrauliche: nel 1958 fu introdotta una serie di macchine con serbatoio superiore, disponibile in 16 modelli con forza di chiusura da 30 fino 1.500 t e capacità d'iniezione pari a 5.000 grammi. Erano disponibili versioni autonome oleodinamiche, con forza di chiusura fino a 250 tonnellate. Risalgono a quell'anno le presse munite di pre-plastificatore-iniettore alternativo, costruito su brevetto di Mario Calligaris; questo dispositivo conferiva un'alta capacità di plastificazione ed una massa omogenea: il materiale plastico, ridotto in lamine sottili nel plastificatore, era riscaldato da una grande superficie, portata e mantenuta interamente alla stessa temperatura. L'ingegnoso sistema venne poi abbandonato a favore della plastificazione a vite, che permetteva tra l'altro più rapidi cambi di colore.
A Torba, in provincia di Varese, nel 1937 venne fondata dai fratelli Canziani la Presma, che costruì dapprima presse manuali per l'iniezione dei termoplastici e successivamente diversi modelli di presse per la produzione di pettini e particolari per occhiali. Nel 1949 la Presma passò alla produzione di presse verticali ed orizzontali per cacciaviti e coltelli, e nel 1954 costruì su scala industriale modelli verticali per la produzione di tacchi. Si deve a questa società lo sviluppo della prima pressa in Europa a tavola rotante sulla quale trovavano posto diversi stampi. La successiva tappa di questa società fu la costruzione della prima pressa al mondo per lo stampaggio ad iniezione di termoplastici semiespandibili, realizzata in collaborazione con i produttori di materie plastiche.
E' da ricordare anche la F.I.M.S.A.I. di Milano (lo stabilimento si trovava in via Poliziano), che sotto la guida di Alberto Cuzzi e Lorenzo Daccò iniziò alla fine degli anni '40 a costruire presse ad iniezione. Alla Fiera di Milano del 1952, questa società presentò 12 modelli con capacità d'iniezione dino a 2.000 grammi. Nel 1955 la F.I.M.S.A.I. costruì una grossa pressa ad iniezione, la Trasferpressa Idroblock, che presentava una capacità effettiva d'iniezione, in una sola pistonata, di 800 grammi. Questa macchina venne utilizzata per lo stampaggio di celle frigorifere, lavelli ed altri pezzi di grandi dimensioni. La Chiesa Camillo & Figlio, già attiva nel campo dello stampaggio a compressione, alla Fiera di Milano del 1951 presentò "un dispositivo automatico e semiautomatico, che abbinato alle presse ad iniezione si è dimostrato ottimo per la praticità, sicurezza ed economia. Questa società costruiva allora presse completamente idrauliche serie B.S. in otto modelli con capacità d'iniezione da 15 a 1.000 grammi.

La situazione all'inizio degli anni '70. Facciamo ora - così come per la precedente tecnologia - un salto di dieci anni ed analizziamo il programma costruttivo dei fabbricanti di presse per iniezione nel 1970. Rispetto al 1955 si rileva innanzi tutto quasi un raddoppio dei costruttori, da 12 a 20 società; nel frattempo due aziende hanno cessato l'attività in questo settore: la Galdabini e la Gamondi.
Le presse costruite in questo periodo, destinate al mercato nazionale e all'esportazione (in crescita), presentavano una capacità da pochi grammi fino a 25-30 kg. Dopo l'introduzione della vite di pre-plastificazione e la scoperta di nuovi tecnopolimeri, questa tecnologia assunse un posto predominante, con la costruzione di macchine sempre più potenti e veloci; è il tempo del boom delle presse destinate allo stampaggio di cassette per bottiglie (Cititalia, IMI), della produzione di dischi fonografici da parte della Metalmeccanica Plast (1.900 dischi etichettati da 35 g in otto ore). In questi anni sono introdotte anche le nuove apparecchiature di comando e regolazione (comandi a programma totale, a schede perforate, della Triulzi), o a comando logico pneumatico della B.M., oppure con dispositivi speciali Electro Hydraulic della Negri Bossi. Otto industrie italiane costruivano presse attrezzate anche per l'iniezione dei termoindurenti.
Esaminiamo ora sinteticamente l'offerta dei 21 costruttori in attività. La Plastic Machinery, divisione della Beloit Italia (ex Beloit Fimsai), costruiva 18 modelli di presse per termoplastici con una capacità da 370 a 21.000 cm3 e forze di chiusura idraulica da 750 a 3.000 t; inoltre, due presse per elastomeri rispettivamente da 200 e 400 t.
La B.M. di Monza costruiva 7 modelli per lo stampaggio di termoplastici, termoindurenti ed elastomeri con forze di chiusura a ginocchiera da 27 a 218 t e dispositivo regolabile. Costruiva inoltre tre modelli di presse serie Transit H per lo stampaggio completamente automatico, a vite-transfer, di termoindurenti (fino a 220 t); infine, tre modelli Duromatic per iniezione transfer di termoindurenti.
La BMB di Brescia fu costituita nel 1967 come società in nome collettivo dai fratelli Domenico ed Egidio Bugatti e da Giuseppe Moreschi, per la costruzione di presse ad iniezione per termoplastici, elastomeri e termoindurenti, nonchè di macchine destinate alla pressofusione dei metalli. Nel 1970 la BMB proponeva sei modelli di presse oleodinamiche automatiche, con vite punzonante, per termoplastici, con forza di chiusura fino a 200 t e capacità di plastificazione oraria compresa tra 16 e 60 kg/h. Il movimento del gruppo d'iniezione era comandato da un pistone idraulico, mentre la chiusura dello stampo era ottenuta mediante una doppia ginocchiera comandata da un altro pistone idraulico. La BMB, successivamente diventata società per azioni, è stata una delle prime aziende a dotare le presse di un impianto elettronico.
La Cavenaghi e Ridolfi si era specializzata nella costruzione, nel nuovo stabilimento di Limbiate (MI), di presse ad iniezione per termoindurenti, con tramoggia speciale a coclea per il caricamento di resine con cariche di fibre tessili, fibre di vetro ed amianto (allora ancora diffuso); costruiva inoltre 4 modelli per elastomeri (fino a 330 t). La Cititalia di Zingonia Ciserano, appartenente al gruppo Triulzi, proponeva 16 modelli della sua linea Preplasmatic, destinati allo stampaggio di termoplastici, con forza di chiusura fino a 600 t; interessanti i tipi "Super" con ginocchiera a bielle inclinate e a corsa lunga. Il gruppo d'iniezione presentava un accoppiamento diretto tra motore idraulico e vite, con eliminazione degli organi soggetti ad usura. La Cititalia costruiva inoltre 9 modelli Durinjet sino a 450 t per termoindurenti, con riscaldamento del materiale per mezzo di uno speciale sistema termofluido a circuito chiuso, e 9 modelli Elastomatic con iniezione diretta di elastomeri; il sistema di condizionamento consentiva di raggiungere, all'interno dello stampo, temperature molto vicine a quelle di vulcanizzazione, con riduzione del ciclo di lavoro.
La Crea, oggi non più esistente, costruiva a Pero (MI) 5 modelli a ginocchiera con forza di chiusura fino a 250 t. La Antonio Ferrari di Milano, che si era specializzata sin dai primi anni del secolo nella costruzione di macchine per calzature, nel 1979 fabbricava una vasta gamma di presse, anche a tavola rotante, per lo stampaggio di particolari in PVC ed elastomeri poliuretanici, come per esempio suole adatte a qualsiasi tipo di tomaia. La G.B.F. di Bresso, già citata a proposito della compressione, costruiva in diverse varianti 12 modelli di presse Plastiniector per termoplastici (forza di chiusura sino a 1.165 t); il gruppo d'iniezione, ribaltabile, poteva essere usato in posizione orizzontale o verticale (per inserti nello stampo). Altre presse potevano funzionare secondo uno stampaggio a post-compressione (con eliminazione completa delle tensioni nei pezzi stampati) e ad intrusione.
Sona da citare anche due importanti società di Brescia, la IDRA e la IMI, ambedue produttrici anche di presse per la pressofusione di leghe metalliche. La prima, fondata nei primi anni '50 per iniziativa dell'industriale Adamo Pasotti, costruiva nei primi anni '70 ben 26 modelli con forza di chiusura, a doppia ginocchiera, fino a 2.500 t: interessante il sistema idraulico di sfilamento di una delle colonne superiori per il montaggio di stampi ingombranti. L'offerta della IMI comprendeva invece 10 modelli di presse oleodinamiche, per termoplastici, con forza di chiusura fino 2.000 tonnellate.
La già citata Mapelli costruì anche presse per iniezione di termoplastici, con capacità sino a 4.000 grammi. La Metalmeccanica Plast dopo solo otto anni di attività, aveva nel 1970 un importante programma costruttivo, tra cui le presse Teknika (fino a 140 t), un modello 22 con forza di chiusura di 22 t destinato allo stampaggio di precisione di micropezzi tecnici (la plastificazione avveniva per attrito e non per riscaldamento tramite resistenze), due modelli MEC 1 e MEC 2 a pistone. Inoltre proponeva 6 modelli serie SR per termoplastici, cinque tipi di presse Rubberjet per elastomeri e le macchine speciali serie Trans-Foam, per lo stampaggio di termoplastici contenenti leggere cariche di agenti di espansione; questa pressa, che aveva una capacità fino a 1.700 cm3 e si può considerare un'antesignana delle presse gas-molding, produceva pezzi tecnici con forte spessore, ottima superficie, senza risucchi o svirgolamenti.
La MIR di Brescia, fondata nel 1967 da Mario Ruggeri (il padre Enea era un industriale bresciano operante nei settori ceramica e carrozzerie auto), nel 1970 presentava un programma produttivo articolato in tre filoni: 1) presse serie RPM per termplastici, forza di chiusura fino a 600 t, in tre versioni (orizzontali, verticali per inserti e a squadra orizzontale per l'iniezione laterale); 2) macchine per termoindurenti, 14 modelli con forza di chiusura fino a 600 t; 3) presse serie RMG per elastomeri, con chiusura a doppia ginocchiera, disponibili in 13 modelli con forza di chiusura fino a 600 t. Interessanti l'alimentazione in continuo, a rullo, dei nastri di gomma e la speciale tramoggia per elastomeri in granuli. la MIR costruiva inoltre gruppi iniettori per termoindurenti ed elastomeri, da applicare alle vecchie presse a compressione o transfer.
La Negri Bossi costruiva all'inizio degli anni '70, nel nuovo stabilimento di Cologno Monzese (MI), nove modelli di presse per termoplastici con chiusura stampi a doppia o semplice ginocchiera (forza da 18 a 300 t); 2, 3 o 4 termoregolatori elettronici a stabilizzazione automatica controllavano la temperatura nel cilindro di plastificazione. Da segnalare, come equipaggiamento di serie, la lubrificazione automatica totale con allarme segnalazione guasti, la regolazione dello spessore dello stampo mediante motore elettrico e l'apertura a 3 velocità. Sette dei modelli sopracitati potevano essere attrezzati per termoindurenti; questa società costruiva anche 3 modelli per elastomeri.
La OMC di Mozzate (CO), costruiva le presse a pistone Extrupress, così chiamate perchè, mediante la rotazione della vite e sostituendo l'ugello con una filiera, si otteneva un estrusore; questa società costruiva anche mulini granulatori, taglierine ed essiccatori. La Pagnoni Benetti & C., importante costruttore di macchine a compressione, produceva anche una pressa ad iniezione da 85 t con pre-plastificatore a vite.
La Presma negli anni '60 aveva notevolmente ampliato la sua produzione: già a partire dal 1963 i trasformatori del settore calzaturiero potevano disporre di una pressa Rotomix a 10 stazioni, con gruppo di iniezione dotato di testa ad accumulo e due iniezioni indipendenti per termoplastici semi-espandibili ( per suole, zoccoli, tacchi di PS, PP, PVC ed elastomeri); nel 1968 si aggiunse l'EVA semiespandibile. La Presma costruiva inoltre 7 presse orizzontali a vite punzonante serie OR-MIX (1.000 t) e 4 modelli verticali serie VEMIX per pezzi con inserti metallici, occhialeria e cortelleria, oltre al modello 1000S per l'iniezione di blocchi grezzi destinati alla produzione di forme per scarpe.
Nel 1971 la Sandretto compiva 25 anni; proprio in quell'anno venne inaugurato lo stabilimento di Pont Canavese (TO). Il programma di fornitura comprendeva ancora presse ad compressione per laminati plastici (fabbricate fino al 1975); venivano costruiti due modelli a pistone da 30 t e 11 modelli a vite, con chiusura a ginocchiera, forza sino a 1.600 t e capacità sino a 9.200 cm3. Le presse, a partire dal modello da 1.070 cm3 , erano caratterizzate dal sistema di rotazione della vite per mezzo di motore idraulico, attraverso un cambio di velocità ad ingranaggi. La presenza di quest'ultimo elemento consentiva di sfruttare la potenza del motore idraulico, anche a bassa velocità della vite, ottenendo coppie motrici utili decisamente elevate; si potevano così trasformare, a velocità basse, materiali anche molto rigidi. Alcuni tipi di presse potevano essere attrezzate per le resine termoindurenti, semplicemente sostituendo il cilindro di plastificazione, la vite e l' ugello, con un altro cilindro termoregolato e particolari armadi di controllo.
La TCS negli anni '70 continuava la produzione di presse a compressione per termoindurenti e, nel settore iniezione, costruiva una pressa Bicolor per l'iniezione a due colori (tasti delle macchine per scrivere e contabili, casalinghi e giocattoli). La chiusura era del tipo a ginocchiera e una tavola rotante permetteva l'utilizzo di due stampi che ricevevano successivamente i due colori. Il funzionamento era automatico, con regolazione mediante fotocellula.
La Triulzi all'inizio degli anni '70 risultava essere una delle maggiori case costruttrici europee: produceva ben 36 modelli di presse ad iniezione e precisamente 11 modelli serie Preplasmatic, per termoplastici, con forze di chiusura fino a 2.000 t; 10 modelli Preplasmatic Special (con speciale ginocchiera) con forza di chiusura fino a 5.000 t e capacità d'iniezione di 30 kg; 7 modelli verticali per lo stampaggio di articoli con inseri metallici; due modelli Durinjet per termoindurenti e 6 modelli Elastomatic per elastomeri.